Cinema

Ascanio Celestini presenta il suo film 'Parole Sante'

Ascanio Celestini presenta il suo film 'Parole Sante'

In occasione dell’anteprima a Milano del film/documento Parole sante ho incontrato Ascanio Celestini, regista e autore della pellicola. Simpatico e semplice si pone subito come uno che vuole raccontarsi e raccontare con la naturalezza di chi crede in ciò che fa. Ascanio, Lei ha prodotto una pellicola controcorrente in un periodo in cui l’evasione sembra essere la chiave del successo? Ho semplicemente fatto raccontare ai personaggi del “Collettivo PrecariAtesia” la loro storia non come l’antropologo che descrive un iter culturale, ma dando la possibilità a ciascuno dei protagonisti di raccontarsi rivivendo il vissuto. Ascoltare una storia significa farla raccontare. Come è maturata l’idea di affrontare il fenomeno del ‘precariato’? Si tratta di un problema che, lungi dal decrescere come affermano alcuni economisti, sta crescendo in maniera esponenziale e drammatica. Non che non esistesse nel passato: l’hanno vissuto mio padre e mio nonno, ma poi sono riusciti ad avere un lavoro stabile. Oggi è diverso: si va avanti con l’incertezza fino a non si sa quando e soprattutto manca la prospettiva di miglioramento. Anzi è maturato nelle coscienze un meccanismo di ‘perdita di possibilità’. Si sente un precario? Sono un lavoratore autonomo, un artigiano e non dipendo da capricci o interessi altrui. Come mai ha scelto come oggetto dell’analisi proprio un ‘call center”? Intanto si tratta di uno dei ‘call center’ più grandi d’Europa, il primo in Italia e l’ottavo al mondo con 300.000 telefonate al giorno, e si può considerare a buon diritto una specie di laboratorio aziendale: i primi esperimenti vengono testati proprio in questo alveare dove ogni giorno entrano quattromila persone la maggior parte precari (3500 ca.) per un lavoro pagato 550 euro al mese. Cosa ha rilevato di particolare in questo mondo? Ho cercato di raccontare la parte positiva che è quella dell’auto-organizzazione, cioè il fatto che un gruppo di giovani si sia riunito per capire i propri diritti e difenderli anche se ha pagato con licenziamenti, soprusi e prove di forza perdendo l’unica forma di sostentamento che aveva da anni, come è successo alla coppia Salvatore e Cecilia. È una storia di sconfitte che però hanno costruito una coscienza. Ritiene di non avere detto qualcosa? Ho cercato di tenere fuori il ruolo dei partiti e dei sindacati anche se all’inizio avevo pensato di fare un documentario diviso in due con una parte dedicata a loro. Poi ho deciso di stare ‘super partes’ anche politicamente senza attaccare nessuno né di destra, né di sinistra perché il vero problema è costituito da questi giovani che chiedono qualcosa e che dovrebbero essere ascoltati e conosciuti anche dai sindacati per evitare che insoddisfazioni e disperazione formino un mix esplosivo.